Bookmark and Share

Come sarà strutturata l’Umbria futura?

Quale impatto avrà il riordino funzionale e territoriale che interesserà le Regioni italiane per mano del governo Renzi? Nasceranno le “macro-regioni” e, se sì, su quali criteri? E l’Umbria?

Se ne è parlato in occasione del convegno “Nuovo regionalismo, riordino funzionale e territoriale”, che si è svolto nella sala della Partecipazione di palazzo Cesaroni a Perugia, il 25 febbraio, su iniziativa dell’Associazione ex consiglieri regionali, con il patrocinio dell’Assemblea legislativa dell’Umbria.

Il tema è fra i più attuali e dibattuti nella società civile, tanto che nei mesi scorsi alcune regioni - tra cui l’Umbria, insieme a Marche e Toscana hanno già organizzato Consigli regionali congiunti. Sul fronte politico, invece, al momento tutto tace. L’idea è che l’iter sia rimandato alla prossima legislatura. Sullo sfondo si muove lo spettro della riforma delle Province ancora da terminare, e la nascita di nuove realtà amministrative quali le “città metropolitane”. Nonché uno scenario europeo di riferimento già proiettato verso il modello delle macro-regioni, come nel caso della Francia, dove il governo Hollande è passato da 22 a 13 regioni, con un risparmio stimato sulla spesa pubblica di 13 miliardi di euro.

“Fino a oggi – ha sottolineato Marco Vinicio Guasticchi , vice presidente dell’Assemblea legislativa – abbiamo visto in Italia solo riforme raffazzonate e di cui ancora paghiamo pesanti strascichi, come quella delle Province. La riorganizzazione territoriale delle Regioni non è qualcosa che si può fare a tavolino, tracciando linee sulle carte geografiche senza immaginare le giuste strategie. Abbiamo il dovere di guidare le riforme e far capire all’esterno cosa significa riorganizzare un Paese non sui mal di pancia, ma con adeguate strategie”.

Anche perché, a oggi, il panorama amministrativo nazionale appare decisamente confuso. “Pensiamo, ad esempio – ha spiegato Pino Sbrenna , ex consigliere regionale –, alle Regioni a statuto speciale. Sebbene non esistano più le ragioni per cui, settanta anni fa, furono istituite, continuano a legiferare e distribuire le risorse in piena autonomia e in grande dissonanza con le altre Regioni, prendendo decisioni che pesano su tutti i cittadini italiani. Un dato su tutti: la Regione Valle d’Aosta ha 2.400 dipendenti contro i 3.300 dell’Emilia Romagna. Pensiamo poi al dimensionamento dei Comuni: non possiamo continuare a mantenere la miriade di Amministrazioni comunali: 4.000 Comuni italiani hanno meno di 2.000 abitanti”.

Non sono soltanto gli assetti del passato a costituire una pesante zavorra amministrativa, ma anche le nuove riforme, come quella delle città metropolitane. “Questo nuove ente – ha detto Gianpiero Bocci , sottosegretario al ministero dell’Interno – costituisce la vera novità, la riforma più grande sul sistema degli enti locali. Le città metropolitane sono, infatti, attualmente in concorrenza con il sistema Regioni, ma anche con quello dei Comuni. In Anci, ad esempio, o nel rapporto Stato-Regioni, la loro presenza ha totalmente modificato gli equilibri. L’Umbria stessa si trova in una posizione intermedia fra le due città di Roma e Firenze. Non dobbiamo però spaventarci, ritengo anzi che sia una grande opportunità di crescita e di sviluppo”.

Ma non è finita qui. “Abbiamo - ha spiegato Fabrizio Figorilli , pro-rettore e ordinario di Diritto amministrativo all’Università di Perugia – Regioni con città metropolitane, la parte residuale delle Regioni non sottoposte al regime della città metropolitana, le Regioni a statuto speciale, le Province autonome di Trento e Bolzano, le Regioni piccole. Da una rassegna rapida si evince che ci troviamo di fronte a 36 realtà istituzionali distinte. È un sistema funzionale? Non credo. Si parla tanto di semplificazione, ma questa situazione dimostra tutt’altro. Per essere efficienti, occorre chiarire quali saranno le funzioni di competenza delle singole realtà e quali quelle dello Stato. Questo aspetto, a oggi, manca nella riforma. Perché il primo e vero lavoro che occorre fare è colpire le duplicazioni di competenze che ancora circolano dal 1970”.

Laura Lana

Un momento del convegno

Bookmark and Share